DENATALITÀ: DAL VILLAGGIO GLOBALE AL “VILLAGGIO LOCALE”
“Facciamo un figlio?” Oggi la risposta è sempre più spesso “no”. Oppure “forse”. O “non adesso”.
Siamo passati dal baby-boom degli anni Sessanta al no-baby dell’era moderna.
Tra il 1968 e il 1974 il tasso di fecondità nel nostro Paese era di 2,49 bambini per coppia, ora è all’1,2, i livelli peggiori d’Europa. Secondo stime Ocse, pubblicate prima della pandemia, l’Italia è tra i Paesi sviluppati che più rischiano di trovarsi a metà secolo con un rapporto 1 a 1 tra lavoratori e pensionati. L’indice di mortalità è rimasto costante ed è tornata la necessità (a volte anche la voglia) di andare altrove a cercare un futuro ed un presente migliori, soprattutto dal punto di vista occupazionale.
Dal rapporto giovani 2020 dell’Istituto Toniolo, si evince che, in Italia, tra le donne di età 30-34 anni, il 20% non vuole figli e un 30% non esclude la possibilità di averli ma pensa che si sentirebbe realizzata anche senza. Sta di fatto che dal 2008 al 2018 le nascite si sono ridotte del 23% su scala nazionale.
La verità è che siamo la nazione con la fecondità più bassa d’Europa e un numero di donne in età riproduttiva sempre minore. Abbiamo le più alte percentuali di giovani che non lavorano e non studiano e i più bassi tassi di occupazione delle donne con figli. Troppi giovani non hanno un reddito sufficiente e stabile per costruire una famiglia. Così vanno altrove… e chi resta posticipa l’età di arrivo del primo figlio (questo ritardo si traduce in una fertilità più bassa). Se poi ci si trova in difficoltà a combinare vita famiglia e lavoro, difficilmente si pianificheranno altre nascite.
Solo l’aggiunta dei figli di migranti ha ridotto la perdita della popolazione, sebbene il fenomeno della denatalità abbia raggiunto anche le donne straniere, che rispetto agli anni passati fanno meno figli.
Questo il quadro sconfortante di un’Italia sempre meno giovane!
Ma se l’Italia se la passa male, anche in rapporto al resto dell’Europa, il Salento e la nostra stessa Corsano non se la passano meglio! Se l’Italia piange, il Salento non ride…
Il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione non sono solo visibili empiricamente, ma sono anche documentati. I dati relativi al 2022 attestano che il Salento si pone al terzo posto in Puglia per decremento di nascite. I paesi salentini si spopolano, tante abitazioni restano vuote, alcune addirittura in stato di palese abbandono.
La scuola è tra le prime agenzie che ha risentito e risente del fenomeno, visto che è la prima istituzione a fare i conti col calo delle nascite, calo che in questi ultimi anni si ravvisa anche nelle Università.
Posso testimoniare in prima persona sullo spopolamento della scuola, dato il mio decennale lavoro all’interno della stessa. Ricordo che negli anni 80/90 le classi erano quattro per anno di nascita degli alunni, poi sono diventate tre, fino ad attestarsi alle attuali due per anno di leva.
La curva demografica sta calando da alcuni decenni, ma dal 2000 pare abbia assunto una tendenza irreversibile verso il basso anche nel nostro paese.
La mia ricerca presso l’ufficio dell’Anagrafe (gentilmente supportata dal personale, che sentitamente ringrazio per la disponibilità) ha dato i seguenti esiti, riassunti come media matematica per decennio al fine di non tediare i lettori:
- Dal 1980 al 1989 media di nascite per anno: 61,4;
- Dal 1990 al 1999 medi di nascite per anno: 61,6;
- Dal 2000 al 2009 media di nascite per anno: 48;
- Dal 2010 al 2019 media di nascite per anno: 43.
Dal 2020 la tendenza registra addirittura una media di 40 nascite per anno.
L’istogramma dimostra la tendenza al ribasso in modo più chiaro ed immediato.
Non staremo qui ad indagare le cause della decrescita corsanese, anche perché sono le stesse, sia economiche che antropologiche, descritte per il panorama nazionale.
Piuttosto, forse è il caso di riflettere sulle soluzioni possibili affinché il trend, se non può essere invertito, possa quanto meno restare stabile.
La sfida demografica è una delle priorità dell’agenda dell’Unione europea, insieme alla questione climatica e alla transizione digitale.
Le soluzioni individuate a livello europeo riguardano il sostegno al reddito delle famiglie, le detrazioni fiscali per i figli a carico, l’incremento degli asili nido e il congedo parentale a carico delle istituzioni. Non ultima anche una politica di sana e autentica integrazione di risorse straniere.
Anche l’aumento del telelavoro potrebbe, a mio parere, essere un fattore positivo per le aree più periferiche (e sarebbe anche il caso nostro): permettendo alle giovani figure professioniste di rimanere nei luoghi di origine e contribuire in tal modo alla riduzione dello spopolamento.
Tuttavia io non sono un’esperta di demografia né di economia, non mi compete suggerire soluzioni. Mi sono limitata ad analizzare il fenomeno del cosiddetto “inverno demografico”. Del resto prendere consapevolezza di un problema e analizzarlo, penso sia già un primo passo.
Per il resto lascio agli esperti il compito di trovare, quanto prima, le soluzioni adeguate…e chissà che non riescano a farlo proprio quei giovani che sono già andati via (o meditano di farlo) in cerca di migliori opportunità.
Concettina Licchetta
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